Domenica 25 maggio 2008, il CAI Verbano propone un'escursione in Svizzera, in Val Bavona, la valle incantata, al cui programma vi rimandiamo.
La Val Bavona si apre a nord-ovest di Cavergno, tra dirupi altissimi e i resti di frane colossali, che le valsero il primato di valle più ripida e sassosa dell’Arco Alpino. Col ritiro dei ghiacciai, venendo a mancare la pressione contro i versanti, tutte le parti instabili rovinarono a valle: rocce, macigni e pietre sono ovunque e il 70% del territorio è improduttivo. Lo scarsissimo terreno coltivabile (appena l’1,7% della superficie totale), si trova sul fondovalle, una fascia di una dozzina di km dal marcato profilo a U che non supera i 500 m. di larghezza, lungo la quale sono distribuiti gli insediamenti, chiamati “terre”: dodici frazioni abitate durante la bella stagione, ed una abbandonata da secoli (Prèsa), poiché minacciata da una frana in continuo movimento.
Nonostante le frane rovinose e le violente inondazioni che l’anno ripetutamente martoriata, l’uomo ha strappato a questa terra un magro sostentamento, sfruttando anche gli angoli più inospitali.
Ovunque, dai villaggi agli alpeggi più discosti, dal fondovalle alle cenge più inaccessibili, si trovano sorprendenti vestigia della sua presenza: antiche bonifiche, sentieri vertiginosi, recinzioni, scalinate e costruzioni rurali in gran numero, tutte realizzate in pietra a secco.
Col tempo ha imparato ad interpretare il proprio territorio e a convertire in alleati anche gli elementi più ostili. Così gli anfratti tra i macigni, debitamente ampliati ed attrezzati, sono stati trasformati in spartane abitazioni, ricoveri per il bestiame, fresche cantine, depositi per il fieno, legna e strame. Queste costruzioni sotto roccia, dette “splùi” nel dialetto locale ( più di mezzo migliaio recensite in Bavona) assumono talvolta funzioni molto specializzate, che richiedono allestimenti particolari: un forno da pane, un telaio, una “grà” per l’essicazione delle castagne, una forgia.
Cingendone la sommità con una corona in muratura che contenesse qualche manciata di terra, l’uomo ha trasformato la massa ingombrante dei macigni in piccole superfici coltivabili al riparo dalla voracità dalle capre. Ecco allora spuntare, sulla pietra sterile, un campicello di segale o di patate, oppure un prato pensile, accessibile tramite una scaletta o qualche gradino inciso nella roccia. Ampie aree del fondovalle sono state terrazzate e protette con alte recinzioni a secco.
Questi ciclopici lavori di bonifica neutralizzavano, integrandoli nei muri e coprendoli di terra, i macigni più ingombranti e offrivano piccole superfici coltivabili pianeggianti, collegate da scalette a sbalzo, che sporgono dai muri, onde non sottrarre alle colture terreno prezioso. Tanto prezioso da essere oggetto di minuziose ripartizioni fondiarie e spesso anche di liti furibonde.
Introdotto dai Romani assieme alla vite, il castagno ebbe un’importanza tale nell’alimentazione delle popolazioni del versante subalpino, soprattutto prima dell’arrivo del mais e della patata, da essere considerato “l’albero della vita”. Un bene immobile sottoposto ad un regime giuridico particolare, lo “jus plantandi”, il diritto di piantare castagni su terreno pubblico, conservando la proprietà dell’albero e dei suoi frutti. Di qualità e grandezza diverse, questi venivano arrostiti, lessati, essiccati o macinati per farne della farina da focacce. Esportati a quintali dagli emigranti stagionali, erano venduti come caldarroste sulle piazze delle città d’oltralpe. Ma il castagno monumentale e longevo, generoso e di poche pretese, forniva anche foraggio per gli animali, nutrimento per le api, foglie per le lettiere dei bovini, legna da ardere e da opera, nonché il tannino per la concia delle pelli.
Da segnalare
A Foroglio: il trittico di legno del 1557 nell’oratorio e la casa-torre a monte del villaggio, che propone un’interpretazione moderna di un’antica tipologia edilizia presente in valle. Una bellissima cascata con salto di mt. 80.
Lungo il sentiero tra Foroglio e Rosèd, nei pressi di una cappellina datata 1812, un macigno porta un’iscrizione che attesta la penosa agonia di un uomo travolto dallo stesso in quell’anno.
Tra le case del XVI secolo di Rosèd, vi sono una bella fontana con lavatoio annesso e, appena dietro, tre tipiche stalle unite in uno stabile solo e oggi ancora in uso. Si esce dalla frazione seguendo la stretta carrale che passa a valle di un prato pensile di notevoli dimensioni.
Faèd: oggi un assieme apparentemente slegato di case, era un piccolo nucleo compatto fino al 1992, quando una frana disastrosa si abbattè sul villaggio dalla Valle di Foiolì, causando vittime umane e danni gravissimi.
A Sonlèrt, per non sottrarre terreno prezioso al pascolo e alle colture, le case sono state costruite tra i macigni di una frana preistorica. Tutte in sasso, esse formano un nucleo compatto e uniforme di grande valore paesaggistico, nel quale spicca la piazzetta erbosa con la fontana e la cappella. Il campanile porta la data del 1598, mentre la “torba” (granaio su pilastri) situata appena più a nord, risale alla fine del Quattrocento. A margine settentrionale dei prati di Sonlèrt, preceduta da un’aia erbosa recintata, vi è una costruzione sotto roccia monumentale: la Ciossa ‘d Tea. Un enorme macigno copre come un cappello due vani contigui: una stalla per le vacche e un locale abitativo dotato di un bel portico.
La Capèla dal Cantòn, appena oltre due tornanti, con affreschi moderni che raffigurano scene di vita passata: l’alpeggio, la raccolta del fieno, i lavori agricoli, i pericoli della montagna, i borradori e i carbonai. Alle sue spalle vi è uno splùi per capre del 1844. Il recente restauro ne ha rispettato le particolarità costruttive, in particolare la carpenteria e il tetto in due sezioni.
La frana di Ganarint ha sostituito interamente il fondovalle con blocchi grandi come palazzi, di fronte ai quali anche il più grande oratorio della valle sembra minuscolo. Datato 1595, esso presenta una notevole cancellata in ferro battuto e affreschi di valore, mentre la sua preziosa ancona lignea del 1566 è ora esposta al Museo di Valmaggia. Da tempi immemorabili è meta di una processione storica: la prima domenica di maggio i fedeli s’incamminano dalla chiesa di Cavergno e, facendo tappa in ogni terra raggiungono Ganarint, dove viene celebrata la messa.
San Carlo: con le sue costruzioni sparse, le case nuove e gli impianti idroelettrici, ha un carattere diverso. Qui hanno inizio gli itinerari per il Piano delle Creste e per Robièi raggiungibile con la funivia. La casa Begnudini è il punto d’informazione per i visitatori, gestito dalla Fondazione Val Bavona.
Poco oltre San Carlo, sul versante destro, c’è la terra di Prèsa, abbandonata da anni a causa della frana incombente. I suoi affreschi cinquecenteschi sono stati trasportati nell’oratorio di San Carlo. Tra le molte costruzioni in rovina, sono state recuperate due case-torri di notevole pregio e antichità.