Anche questa volta una gita con carattere intersezionale, con provenienze dalle Sezioni di Gravellona Toce, Macugnaga, Omegna, Stresa, Varese, Verbano-Intra e Villadossola.
Un bel gruppo di ventuno appassionati, con due mete differenti, partiti di primo mattino dal Rifugio Andolla del CAI di Villadossola, rifugio dove accoglienza e ristoro sono stati come sempre ai massimi livelli.
Un'avventura nel selvaggio Parco Naturale dell'Alta Valle Antrona, dove l'uomo ritrova pienamente il senso della natura, tra prati d'alta quota e morene di nevaio, fiori multicolori e trasparenti laghi alpini, crode severe, rocce e stambecchi, incontrastati e imperturbabili padroni dell'alta quota.
E' anche il territorio e regno del "Tata", leggendario camoscio, e dei suoi discendenti, luoghi raccontati dalla sua stessa voce, insieme alla storia della sua vita difficoltosa ma straordinaria, vissuta attraverso la penna e il pennello di Luigi Rondolini, medico, assiduo frequentatore di questi incantevoli spazi (Cfr.: Il Tata, Storia di un camoscio in Val d'Ossola - Luigi Rondolini - Alberti Libraio Editore - Intra).
Le mete, di elevata anche se differente difficoltà, prevedevano,la prima, il lungo giro escursionistico dell'alta Val Loranco, la seconda la ferrata del lago Maggiore al Passo del Bottarello e la salita al Mittelruck (Pizzo Loranco) dalla via normale sud. L'inaspettato forte vento in quota ha limitato a pochi ardimentosi la salita al passo, impedendo poi il proseguimento per la vetta del Mittelruck.
Ancora un volta Maria, socia-scrittrice del CAI di Omegna, ci propone il suo delizioso racconto dell'escursione.
L’escursione di sabato 23 e domenica 24 luglio in Alta Valle Antrona è stata davvero “avventurosa”.
Tutto era cominciato secondo il classico copione. Un bel gruppo di venti persone si era dato appuntamento a Cheggio e, dopo l’immancabile saluto al lago Alpe Cavalli, attorniato da rocce strapiombanti e da lariceti che danno all’acqua una compattezza patinata e cerulea, si era avviato verso il Rifugio Andolla. Dispensati della pioggia, erroneamente prevista dal servizio meteo, tutti si sono subito inseriti nell’ambiente del Parco. Il ritmo dei passi sul sentiero è stato inconsapevolmente ritmato dal fluire del torrente Loranco, in un susseguirsi di calmo scorrimento nel greto, di rapida corsa tra i massi, di pigro indugio in qualche conca, di irruente caduta a cascata tra riccioli di schiuma bianca.
Anche questa volta, non appena entrati nel Rifugio, ci si è sentiti a casa propria: quattro chiacchiere tra amici, una buona cenetta in allegria e poi … a nanna. L’ultima occhiata al cielo, quasi ripulito dalla coltre grigia, con sprazzi di sereno stellato e una falce di luna, sorta lì per lì, a rischiarare i contorni delle montagne scure, aveva conciliato sonni tranquilli.
L’indomani mattina, al debole chiarore dell’alba, è comparso il vento. Veementi soffi accompagnati da spifferi impertinenti hanno anticipato il risveglio e l’impatto con raffiche di tramontana, che imprimevano ondulazioni convulse alle erbe del prato, che facevano correre all’impazzata innocue nuvolette rosate, che scagliavano a terra i primi raggi di sole inondando la valle di luce.
I preparativi della partenza hanno attivato una curiosa e funzionale gara di solidarietà tra miserabili, costretti a fronteggiare una simile emergenza freddo, imprevedibile a fine luglio, e a mettere insieme con i fondi di zaino e con l’arte del “fai da te” un equipaggiamento il più possibile himalaiano.
La comitiva compatta, rincuorata anche dalla presenza del Presidente salito di buon’ora, si è incamminata verso il bivacco Varese. Non appena diminuiva la furia del vento, si poteva alzare il capo per osservare i resti dell’ alpeggio Corone, costruito a ridosso di enormi macigni, secondo un’architettura di avanguardia tendente a valorizzare la complementarietà tra uomo e territorio, o una pozza d’acqua velata da ghirigori di ghiaccio, o un ruscello che s’impaludava per dividersi in circuiti lattiginosi separati da un mosaico di pietruzze colorate …
Ma al centro dell’attenzione c’era lei, l’Andolla. Questa montagna, nata dalle viscere dell’ Antrona, reca sulle sue poliedriche facce l’essenza della sua natura, che ha la nobiltà dell’oro antico, la calda lucentezza del rame, la plastica vitalità del serpentino verde, la caparbia resistenza del ferro, il candore innocente delle nevi perenni. Questa montagna dal portamento fiero e dominante, attorniata da muraglie acuminate e da creste taglienti, vigilata a distanza, sul versante di Bognanco, dal Castello, si esibisce e si cela. Questa montagna dal fascino giovanile, dopo aver richiamato schiere di innamorati, si lascia conquistare solo da chi sa adattarsi alla bizzarra volubilità del suo carattere. E’ questa l’Andolla: bella, seducente e, per quasi tutti i comuni mortali, irraggiungibile.
In prossimità del Bivacco Varese, la comitiva si scinde in due gruppi, dei quali l’uno punta a una meta alpinistica, la Via ferrata Lago Maggiore e il Pizzo Loranco, l’altro a un percorso escursionistico, il lago Ciapivul e i suoi dintorni.
Siccome la separazione fisica non interrompe il contatto affettivo, funziona un efficace controllo a distanza, fino a quando si prende atto della decisione di alcuni di sospendere l’arrampicata, a causa delle inclementi condizioni climatiche, lasciando a pochi “rampanti di razza” il compito di portare a termine l’impresa. Anche i gitanti camminatori devono assai più prosaicamente combattere con il vento e darsi all’inseguimento di un cappello, strappato con prepotenza dalle mani e scaraventato giù per il vallone!
Raggiunta la morena delle Coronette, nasce l’idea di una variazione del programma. Qualcuno sale fino al soprastante, omonimo laghetto, sbuca sulla cresta e con percorso aereo si immette sul sentiero che porta al passo. La modesta fatica supplementare è compensata dalla visione, prima del Lago Coronette, un idilliaco specchio d’acqua mosso con la frenesia di un pizzicato di violino e quindi dallo scenario grandioso dell’Alta Val Troncone, dove l’impatto del paesaggio elettrico si stempera nel circo di placche granitiche, di superbe elevazioni, di verdi pendii, con scorci sul Lago di Camposecco inusuali e dolcissimi.
Il momento del pranzo, in prossimità del lago Ciapivul, pone l’impaccio di trovare un luogo di sosta non tappezzato di genzianelle e a debita distanza dai nostri vicini, con lunghe corna, pure intenti a pasteggiare senza l’assillo dell’orologio con cui noi umani purtroppo dobbiamo fare i conti.
L’esplorazione del lago, quasi invaso dagli eriofori dal bianco pennacchio e dalle erbe palustri, riserva una gradita sorpresa. Ci sono! Di ritorno dalla ferrata, dopo una lunga marcia sulla morena e sul nevaio, i nostri quattro ardimentosi si stanno concedendo il meritato riposo. Commentano soddisfatti la buona fattura degli interventi di miglioramento della via e ipotizzano altri viaggi a piedi con sconfinamenti nelle valli adiacenti.
Il vento è cessato, ma paradossalmente comincia una nuova avventura. Ci si deve abbassare su un terreno fino a non molti anni or sono adibito a pascolo.
Si immagina un paesaggio bucolico con greggi in libertà, concerti di campanacci, vociare di mandriani; più in basso a Campolamana ci si vorrebbe dissetare a una fontana o a un abbeveratoio, cogliendo l’occasione per un approccio con gli alpigiani: ragazzi occupati nella sorveglianza del bestiame, donne impegnate nello spietramento dei prati e nella cura dell’orticello, uomini intenti alla manutenzione delle baite e alla lavorazione del latte.
Nulla di tutto ciò. Siccome manca un vero sentiero, le tracce di vernice sui sassi fungono da generici indicatori di direzione; il percorso si indovina tra pietraie, arbusti e sterpaglie, labili traversi erbosi, canalini di scolo, torrenti con i guadi non più ripristinati, plaghe acquitrinose.
Si riesce a dare un senso alla stanchezza e al disagio conseguenti alla difficoltà di muoversi su un terreno impervio, consapevoli delle opportunità di crescita che ogni escursione offre sul piano fisico e su quello psicologico, ma sembra assurdo constare che un mondo alpestre, ricco di storia, di cultura, di valori, di ideali, sia cancellato da questa wilderness di ritorno.
Si è assaliti da un sentimento di tristezza, di sgomento e forse di nostalgia. Bisogna frequentare la montagna, arrivare in luoghi reconditi, dare voce a un mondo condannato all’oblio.
Ripenso allo scarponcino numero 26, che nel ripostiglio del Rifugio Andolla era allineato accanto a tanti altri più grandi. Vorrei lasciargli un messaggio:
- Ti affido una delle cose a me più care, la montagna. Se la saprai custodire e amare, proverai autentica gioia. Conto su di te.
Le gallerie fotografiche del giro escursionistico
Gli ammutinati della Ferrata del Lago (il racconto di Gianni - CAI Verbano)
Sì, è vero: c’era molto vento; sì, è vero: si era deciso di non farla …. Tutti d’accordo quindi: non si fa, viste le condizioni sfavorevoli. Oltre tutto avevamo incontrato un gruppo di ragazzi che aveva rinunciato a salire la cresta Lago Maggiore: troppo vento, si fa fatica a mantenere l’equilibrio quando arrivano certe raffiche improvvise … Dunque si era pensato che la ferrata sarebbe rimasta ad aspettarci anche una prossima volta … Ma già che siamo qui perché non salire fino all’attacco? Tanto poi si può raggiungere il resto del gruppo stando in quota e quindi non ci perdiamo nulla. Detto fatto: i 4 ardimentosi ( Massimo, Nino, Gianpaolo e il sottoscritto, Gianni) si portano ai piedi della ferrata e a quel punto il “bergamasco” dice: il vento sembra calato, se iniziamo a salire poi possiamo sempre scendere se le condizioni peggiorano. Ovviamente non aspettavamo altro: in un attimo indossiamo le imbragature e siamo pronti. Saliamo … non ci sono difficoltà particolari e le infrastrutture sono perfette: nuovissime, in perfette condizioni e assolutamente funzionali, alla “svizzera”. Il vento effettivamente non ci disturba più di tanto: ogni tanto una raffica ci ricorda che in quota c’è tormenta, ma noi non ne risentiamo. Man mano che prendiamo quota il panorama si apre sempre più; cerchiamo il resto della comitiva che ha preso il sentiero delle Coronette e per un po’ riusciamo a seguirlo, poi … pensiamo a noi che progrediamo sempre di più verso la meta. Si scattano foto a raffica fino a quando Massimo dichiara che le batterie sono scariche; poco male, c’è Gianpaolo che continua il reportage. Arriviamo finalmente in vetta dove ci accoglie un vento gelido e teso, ma un panorama mozzafiato e finalmente capisco il perché del nome: il lago Maggiore si vede tutto, e si vedono anche i laghi che gli fanno compagnia in terra lombarda. Siamo contenti della nostra impresa: una stretta di mano, la foto di rito ed eccoci pronti per la discesa che avviene rapidamente e senza problemi di sorta. Arrivati alla base della parete facciamo uno spuntino veloce (fantastici quei dolcetti della moglie di Nino) e attraversata la valle su morena riusciamo a raggiungere il lago Ciapivul. Una breve attesa ed ecco comparire il resto della compagnia: da qui in poi ritorneremo nei ranghi.