Quando di buon mattino scorgo la folla in attesa del pullman, sono assalita dal dubbio di aver sbagliato destinazione e mi chiedo se sto forse partendo per la riviera. La fisionomia di volti noti e, inequivocabile segno di riconoscimento, lo zaino, mi mettono di fronte alla realtà: ci dirigeremo tutti quanti verso Macugnaga, per affrontare una tra le più gettonate traversate del tour del Monte Rosa, il collegamento tra la Valle Anzasca e l’Alta Valsesia, attraverso il Passo del Turlo.
Non appena si incomincia a camminare, a Borca, emerge il carattere del gruppo, insolitamente numeroso per la presenza di oltre cinquanta persone, ma consapevole dell’impegno che sarà richiesto, motivato ad affrontare la fatica, disciplinato nel seguire le indicazioni dei capi comitiva Renato e Luigi, con il supporto paziente di Lucia.
In un clima di festosa allegria si sale al Lago delle Fate e si imbocca la Val Quarazza rivestita dal verde di erba, arbusti e conifere, ma poco dopo, in zona Crocette, la spensieratezza è turbata da un repentino e sinistro oscuramento del cielo, infatti una coltre grigio plumbea dalle cime si sta abbassando, si dispiega e rapidamente avanza. Piove. Il gruppo, benché colto di sorpresa, affronta l’imprevisto con stoica imperturbabilità, oltrepassa impassibile la cellula temporalesca, si lascia alle spalle la perturbazione e, appena dopo l’attraversamento del torrente su un ponticello di legno, sbuca nell’azzurro limpido e fresco di una giornata d’estate.
Tornante dopo tornante si raggiunge l’alpe La Piane, si rasentano i ruderi dell’Alpe Schena e con un lungo tratto in falsopiano si arriva al Bivacco Lanti.
Durante la breve sosta ci si prepara a salire la storica mulattiera, opera dell’ingegneria militare del Battaglione Intra, sulla quale si procede agevolmente in uno scenario dominato da bastionate, che fanno da piede alla Cima Grober e al Pizzo Bianco. In prossimità del Passo si deve calpestare neve. Dalla memoria affiorano racconti di esperienze vissute e immagini della colonizzazione walser, di nuclei famigliari venuti d’Oltralpe con poche masserizie e molta fame in cerca di un fazzoletto di terra su cui insediarsi, oppure nomi di personaggi e vicende storiche dei secoli d’oro della montagna, quando uomini, bestiame e merci qui transitavano per trafficare nel Vallese e in Valle d’Aosta. A quei tempi la presenza di neve in punti strategici di passaggio era vissuta come ostacolo, come complicazione, come rischio, al punto da far nascere il bisogno di una protezione dall’alto da parte della Madonna della Neve, che proprio oggi viene festeggiata.
Il Turlo in via eccezionale non è avvolto dalla nebbia, quindi lo scatto delle foto e i convenevoli di rito passano in secondo piano rispetto alla grandiosità del panorama. L’occhio spazia a tutto campo.
Lasciandosi guidare a ritroso dal lunghissimo filo bianco che passo dopo passo abbiamo percorso, si ferma sull’ambiente lunare appena sottostante, sui prati e sugli alpeggi in stato di semi-abbandono, sui boschi inselvatichiti infine sul Lago delle Fate, un gioiello naturale color turchese. Dirimpetto si ergono superbi i Quattromila svizzeri, il monte Moro, le cime che fanno da corona al Rosa, un po’ imbronciato e riottoso a mostrarsi.
Ci si abbassa sul versante valsesiano per la sosta del pranzo su un tappeto di velluto verde elevato a mo’ di belvedere sopra un ridente specchio d’acqua, in presenza di un solitario camoscio.
Soddisfatti gli impellenti bisogni primari, ciascuno a modo proprio si apre alla relazionalità, con approcci seri o faceti, acculturati o frivoli, formali o goliardici, che trasformano una comitiva di gitanti in un gruppo di amici. Come per incanto compaiono e incominciano a circolare generi di conforto di ogni tipo: specialità nostrane, dolci, bevande dissetanti, digestive, energetiche, rilassanti, salutari … E anche questa volta Pieranna resta imbattibile!
Essendo il tragitto di ritorno abbastanza lungo, ben presto scatta il conto alla rovescia; a malincuore ci si deve “tirare insieme”. La discesa si svolge in un ambiente di dolce poesia tra prati, o meglio distese di fiori in cui è regina l’arnica, di vita bucolica con l’odore di letame all’alpe Faller caricato e di …. chiare, fresche, dolci acque.
E’ il preludio di una raffinata esibizione di balletto artistico che ci accompagnerà fino all’ultimo passo.
I diversi attori, ruscelli, torrenti, rigagnoli, cascate, valorizzati da una ricca scenografia cromatica e da un sottofondo di sonorità inusuali, esprimono il loro dinamismo plastico in numeri di rara maestria. A ben guardare infatti l’acqua non scende, ma balza, saltella, si slancia, guizza, sussulta, scivola, precipita, capitombola, rovina, corre, accelera, indugia, si ferma, ristagna, confluisce, si separa in fili, rami, matasse, ciuffi, chiome, vene. Ammanta le asperità o le rotondità della montagna e scava la pietra fino a costruire gigantesche marmitte glaciali.
Al rifugio Pastore ci aspetta, in un tripudio di fiori coloratissimi, selezionati e coltivati nel Giardino botanico, o semplicemente debordanti dai balconi, dai davanzali, dalle aiuole, il gran finale.
Il solo nome, Acqua Bianca, basta a far aprire il sipario su una visione che emoziona, incanta, rapisce.
Alagna, in lontananza un ammasso indistinto di case, ora mostra la grazia dei suoi edifici, interessanti modelli di architettura alpina. La raggiungiamo con il ripido sentiero scalinato, nella frescura del bosco, accompagnati dal torrente che irrompe tra i massi scrosciando e spumeggiando, ansioso di congiungersi al Sesia per correre, correre ancora fino al mare.
Come noi, che non riusciamo a concludere una escursione senza sognarne un’altra, più in alto e più lontano.
Maria