L’appuntamento è come al solito nel piazzale del cimitero di Suna: ci ritroviamo in un bel numero, ma altri saranno caricati a Fondotoce stazione e a Piedimulera (Maria Adele, del CAI di Borgomanero). Puntualissimi, partiamo da Suna e ci compattiamo sulle auto a Fondotoce per proseguire per la valle Anzasca. La giornata è limpidissima e apparentemente senza vento, ragion per cui siamo tutti entusiasti ed ansiosi di iniziare questa nuova ferrata, sconosciuta ai più. Arrivati al piazzale della funivia per il Monte Moro, ci viene incontro Renato Contini, macugnaghese di adozione, che ci saluta e ci augura una buona scalata.
Ci contiamo: siamo in 23 adulti e 2 bimbi, che faranno ovviamente un percorso alternativo, ma che dimostrano già buone doti di alpinisti, perché a piedi saliranno fino a capanna Bill. Altre due gentili esponenti del sesso cosiddetto debole ci attendono all’arrivo della funivia. Qualche nuvola bassa sembra volerci rovinare la festa, ma in realtà queste poche nubi si dissolveranno prima dell’attacco alla ferrata. Ci incamminiamo quindi verso la partenza della via, camminando di buona lena, anche perché il freddo è pungente (il termometro alla stazione di arrivo della funivia segna + 1°). In poco più di mezz’ora siamo tutti in fase di vestizione: imbraghi, caschi, set da ferrata, guanti … e in un attimo siamo pronti a partire.
Io apro la via, mentre lungo il serpentone degli scalatori si distribuiscono Enzo Aceti ed Edoardo Verna, pronti ad aiutare chi dovesse trovarsi in difficoltà. Chiude la fila Enrico Colombo, responsabile con me della gita.
La prima parte della salita non presenta difficoltà: si tratta di una scala verticale che ci porta a sormontare il primo troncone di granito. Segue un breve tratto in cresta e successivamente una discesa che porta al ponte tibetano. Comincia a soffiare un vento gelido e tutti si coprono di più; i cavi sono ricoperti da un velo di ghiaccio e, oltre ai guanti da ferrata, spuntano quelli di pile. Superato il ponte, che non è molto lungo, ci si trova ad affrontare un tratto in salita con una scala che “butta in fuori”, ma da lì in poi ci si trova su un tratto in cresta che non presenta difficoltà fino alla fine del percorso. Non appena finisce la via attrezzata individuo una piazzola rocciosa riparata dal vento e mi fermo per aspettare tutti gli altri componenti del gruppo. In tutto quando arriva anche l’ultimo della fila non abbiamo impiegato più di 45 minuti, ma siamo soddisfatti dell’esperienza, anche e soprattutto per la panoramicità della via: abbiamo davanti agli occhi sua maestà il Rosa con le sue cime in tutto il suo splendore, vediamo anche il lago delle fate e tutta la valle Quarazza, il passo del Turlo, il monte Tagliaferro …
Scattata la foto di gruppo, come di consueto, scendiamo fino al rifugio Oberto Maroli dove consideriamo conclusa la gita. La maggior parte dei partecipanti si inerpica fino alla Madonnina, qualcuno vorrebbe andare allo Jodelhorn (ma è un po’ troppo lontano), altri, tra cui il sottoscritto, si fiondano al calduccio del rifugio dove per altro a poco a poco arrivano tutti.
Una bella mangiata è la giusta ricompensa per la fatica fatta e in allegria ci diamo tutti da fare per allenare le mandibole. Più tardi, un po’ scaglionati, scendiamo in funivia, ma un bel gruppetto decide di fare a piedi il tragitto da capanna Bill al parcheggio: quel sentiero, o per meglio dire mulattiera, è proprio bello e ci consente di arrivare alle macchine in una mezz’oretta, beandoci della passeggiata tra i larici. Alla fine, quando siamo nuovamente tutti riuniti, tiro fuori il mio asso nella manica: ho portato infatti un bello strudel di pesche (grazie Vicky) e una crostata di frutta (grazie Matilde) che son molto gradite e rendono “più dolce” la conclusione della nostra avventura.
Ci scambiamo i saluti e la promessa di ripetere alla prossima occasione l’esperienza vissuta insieme oggi.
Gianni