L’anello, a scavalco tra la Valle Bondolero e la Conca di Devero, si conserverà nella bisaccia dei vissuti, che ciascuno custodisce nella memoria, o forse ancor più nel cuore, come una immersione ristoratrice nella prorompente vitalità sprigionata dalla montagna a inizio estate per un periodo di così breve durata, che raramente si riesce a cogliere e a godere.
Espletato il rito della conta sulla piazzetta antistante la chiesetta di Goglio, i ventotto presenti, senza indugio, si sono incamminati, mossi dal desiderio di esplorare un nuovo, piccolo mondo alpestre caratterizzato da frugale semplicità ma racchiuso entro una cerchia di cime superbamente maestose: Cistella, Diei, Valtendra, Moro, Cornera, Cervandone, Rossa e nelle retrovie, autentici giganti di pietra assisi su troni regali, Leone, Arbola, Giove.
Essendosi l’itinerario snodato su un’area abbastanza ampia, varie sono state le porzioni di territorio osservate, tutte con una propria specifica connotazione, dipendente dal tipo di suolo, dal grado di esposizione al sole, dalla fascia altimetrica.
Relazionare sulla gita equivale pertanto a presentare una sequenza di fotogrammi, aventi talvolta valore artistico e paesaggistico, talaltra significato antropologico e culturale.
Attraversato il Rio Freddo, un sentiero ombreggiato, nella frescura della pineta, con un susseguirsi di tornantini, ci ha portati all’Alpe Piaggio. In prossimità delle baite, oltre alla solita zampillante acqua di fontana, abbiamo notato rigogliosi cespugli con frutti maturi occhieggianti tra le foglie: ribes vermigli, turgidi, invitanti …
Quando il viottolo si è innestato sulla strada sterrata, la moderata pendenza ha dato animo e fiato al gruppo, che, impegnato in chiacchiere civettuole o in discorsi sui massimi sistemi, è arrivato all’imbocco della Valle Bondolero. Gli occhi hanno indugiato sugli avvallamenti ondulati di questa dolce conca, sulla sua vegetazione, tutti pascoli, tracciati da colpi di pennello intinti a caso nella tavolozza dei verdi; il vento ha portato alle narici zaffate di aromi, odore di erba, di linfa, di acqua stagnante, di germogli, di resina.
Lasciato il fondovalle, abbiamo risalito il versante degli alpeggi, Case di Sotto, un nucleo rurale in solitario abbandono e Bondolero, ancora caricato, ma insediato dalle ortiche e dalle slavazze. Un piccolo asino, inaspettatamente emerso dalla coltre arbustiva, ha incominciato a scrutarci con curiosa perplessità; è parso strano non sentire, in un luogo così ricco di pastura, i campanacci delle mucche, il belare delle pecore, il vociare dei mandriani e questo senso di vuoto si è acuito quando è iniziata la rimonta in direzione della Val Buscagna. Il sentiero si è assottigliato fino a diventare una labile traccia, da cercare inseguendo scoloriti bolli segnavia seminascosti dai cespugli. Non più condizionata dagli effetti dalla presenza umana, la natura ha ripreso pieno potere sulla montagna e questo luogo è tornato ad essere un novello giardino di Eden, puro e incontaminato, come appena uscito dalla creazione. Per caso ci siamo imbattuti in una esposizione floreale di rara bellezza, in una distesa di corolle dagli effetti cromatici inusitati e dalle forme leggiadre, in un mare di fiori in armonioso connubio.
In prossimità del Passo il percorso è diventato più evidente, si è trasformato in una scala a gradoni, ha aperto una finestra su un nuovo ambiente. Tra gli sprazzi di azzurro del cielo, decisamente rasserenato, hanno fatto la comparsa a distanza ravvicinata le rocce: brunite, dorate, bianche, splendenti sotto il sole, in netto contrasto con il rivestimento del suolo, ancora brullo e spoglio, con l’eccezione di radi steli filiformi dalle foglioline verde crudo e di infiorescenze post nivali pioniere, in questa tardiva primavera al Cazzola.
La cima della montagna, prontamente raggiunta da tutti, è parsa strana, diversa dall’immagine mentale elaborata durante la stagione sciistica, quasi irriconoscibile per la presenza di buche, doline, cunette di solito occultate dalla coltre bianca.
Dopo una breve sosta per il pranzo, motivata da previsioni meteo temporalesche nelle ore pomeridiane, in quasi ordinata fila al seguito dell’indomita Carla, abbiamo affrontato la discesa al Devero, nel rado bosco di larici, tra rododendri in piena fioritura fino all’Alpe Misanco e successivamente … nella civiltà, tra turisti, ombrelloni, parcheggi stracolmi di auto.
E’ prassi che, nel caso di escursioni con significativo sviluppo, l’ultimo tratto di strada venga percorso con abulia, attivando una sorta di pilota automatico funzionale al movimento delle gambe ma a non a quello della mente. Non è stato così, perché anche la tappa finale verso Goglio ha riservato elementi di interesse e di curiosità, a cominciare dalla qualità della mulattiera, comoda, agevole e panoramica, con vista sulla serie di alpeggi disseminati sulla sinistra orografica del torrente, invisibili dalla strada carrozzabile abitualmente percorsa e sul centro abitato, nostro punto di arrivo, ammirato da un insolito belvedere.
Se, come dice il proverbio, tutti i salmi finiscono in gloria, a questo punto bisogna augurare lunga vita alle nostre guide virtuali, Renato e Lucia che hanno ideato il percorso, e a Marcello che ha guidato la comitiva. Grazie. Anche questa volta ci avete donato la gioia di scoprire, dopo ogni salita, un altro mondo!
Maria B.