Le escursioni sulle Dolomiti sono tra quelle che, già dalla prima occhiata all’opuscolo annuale del Programma CAI , allertano l’attenzione e fanno nascere il desiderio di esserci, a prescindere da successive indicazioni circa la zona interessata, la meta, la tipologia di percorso. Ovvio quindi che la proposta di Massimo e Franco di un trekking interessante e tecnicamente non banale in Alta Badia riscuotesse molti consensi ed entusiastiche adesioni … fino al giorno della partenza, quando sugli aneliti dei partecipanti si è riversata una non metaforica doccia fredda.
Durante il viaggio, accuratamente organizzato con pulmini condotti da validi autisti, si sono aperte le cataratte del cielo, in un alternarsi di pioggia, pioggerella, diluvio, piovasco; tra imprecazioni sulla mala sorte, sospiri di rimpianto, preghiere a tutti i santi, circa a metà mattina, abbiamo raggiunto il Passo di Valparola, punto di inizio del Sentiero Kaiserjager, teatro di aspri combattimenti tra truppe italiane e austriache durante il primo conflitto mondiale.
Nessuno l’avrebbe immaginato; invece inaspettatamente il cielo si è aperto, l’aria si è schiarita, una diffusa luminosità ha fatto presagire, al di là della cappa grigia, la presenza del sole.
Zaino in spalla e via! con un moderato avvio, fino a quando la pendenza si è fatta più decisa, acquistando le caratteristiche di “sentiero di guerra” attrezzato. Tracciato in posizione dominante e affacciato sul fondovalle, l’itinerario è molto gratificante in senso paesaggistico; costruito con lo scopo di contrastare gli attacchi delle postazioni nemiche sull’opposto versante, presenta una grande varietà di manufatti e di reperti a testimonianza di aspri e cruenti combattimenti. Camminando nelle trincee, risalendo canalini, percorrendo cenge, visitando gallerie con antri per il ricovero delle persone e il deposito delle armi, feritoie con mitragliatrici puntate, tornano alla mente immagini, racconti, fotografie, lettere, canzoni, luoghi e date della storia reale, scritta inconsapevolmente da migliaia di anonimi soldati e di quella ufficiale, gestita dagli organi di potere per cambiare secondo oscuri interessi il futuro delle nazioni e l’assetto del mondo.
Questa volta, sulla vetta attorno alla croce, le effusioni festose non hanno fugato il pensiero degli eventi bellici che qui si sono consumati, anzi hanno suscitato nel cuore dei presenti dolente smarrimento e commossa rimembranza.
Il tempo per una foto, per un’occhiata alla coltre di nubi che avvolge le Tofane dirimpetto a noi e subito di corsa al Rifugio, giusto in tempo per vedere l’acqua scendere a rivoli sui vetri e picchiettare energicamente sulle lamiere del tetto. Anche qui, ben in vista nelle teche posizionate un po’ dovunque, non mancano i segni della guerra, piccoli oggetti della quotidianità o della vita militare.
Non appena ricompare il sole, ci rimettiamo in cammino e affrontiamo la discesa con un percorso differente rispetto a quello di andata, lungo un tragitto frequentato come pista da sci, che alla Forcella dei Salares si dirama anche in direzione del Rifugio Scotoni. Dopo una breve, ripida calata su gradoni e pietraia chiudiamo l’anello e ci ritroviamo al Forte tra i Sass.
Siamo soddisfatti; l’obiettivo del primo giorno è stato raggiunto.
Il pulmino ci trasporta a Badia e, mentre i capi gita espletano le formalità necessarie per assicurare a tutti una buona cena e di un rigenerante pernottamento, abbiamo modo di godere del panorama circostante, con graziosi villini, ondulazioni prative ben rasate, rigogliose conifere solitarie, a macchia, poi sempre più fitte fino ai piedi delle vette.
Poiché la mattina seguente, sabato, le previsioni del meteo sono pienamente rispettate, di salire al Monte Cavallo non se ne parla. Con i necessari presidi antipioggia partiamo in direzione di Santa Croce in Badia, luogo di fascino alpestre e di interesse culturale.
Su comodo viottolo attraversiamo nuclei rurali con malghe, fienili, bovini al pascoli e ci immettiamo nella pineta ininterrotta, che da millenni separa il mondo dell’umano trafficare da quello delle guglie vertiginose, delle crode filiformi, delle pareti strapiombanti, regno del silenzio rotto dal sibilo della bufera e dell’immobilità, sospesa momentaneamente dal roteare alto dell’aquila.
La denominazione del tragitto “Via della Croce” trova concreto riscontro nella serie di statue lignee inerenti la crocifissione poste ai margini del sentiero e nell’incontro con persone in preghiera.
La intricata rete di tracciati provenienti da vari paesi del circondario e confluenti al Santuario attesta quanto la pura semplicità di questo edificio sacro di antichissime origini continui ad essere polo di attrazione per i fedeli di tutta la Valle.
Poiché riprende a piovere, è provvidenziale la presenza del Rifugio, dove c’è modo, dopo il conforto spirituale ottenuto visitando la chiesa, di ritemprare anche il corpo con specialità gastronomiche della cucina ladina.
Riposati, riscaldati e rifocillati, in perfetta forma affrontiamo la discesa a Badia, questa volta su una ampia strada sterrata di sevizio. Tutto procede per il meglio, fino a quando entra in gioco la nera sfortuna, infatti basta un accenno di scivolata per spegnere di colpo la socievolezza e la vitalità della nostra Viviana. Sul gruppo ciarliero e sbarazzino cala l’ombra della preoccupazione, perché l’auspicato, rassicurante responso medico sugli esiti del piccolo infortunio tarda a venire.
Dopo le varie vicissitudini, non sembra vero sedere ancora a tavola tutti insieme, chiacchierare e scherzare con in sottofondo il tintinnio delle posate in fervida attività: il meglio della vita!
E arriva domenica.
- Buon giorno!
Mai la classica formula augurale risuona all’orecchio in tono così provocatorio e beffardo.
Piove alla grande. Il piano strategico per effettuare in extremis la salita al Monte Cavallo, messo punto nel summit della sera precedente, sfuma; dunque resta praticabile solo l’opzione di chiudere il trekking con la visita al Lago Braies.
Salutiamo la Val Badia, mentre squarci di azzurro si prendono gioco di noi, intenti a caricare i bagagli e mentre il sole si apre una piccola breccia nella coltre plumbea per regalarci l’ultima, autentica fotografia del panorama lucidato dalla pioggia, con i prati smaglianti, le bacche vermiglie a grappoli sui sorbi, le cime rosata, le cenge orlate dai mughi, le paretine perlacee …
Dopo aver percorso un tratto della Val Pusteria, arriviamo alla meta e ci accodiamo alla fiumana di gente in processione verso il noto Lago.
Basta una sommaria occhiata per innescare in me una reazione di incredulo sbigottimento, quasi di delusione, dato che scatta, inconsapevole, il raffronto con la serie di laghi alpini disseminati nelle nostre valli, che, presumibilmente per un rigurgito di campanilismo, giudico altrettanto o forse più pittoreschi. Con obiettività mi impegno a cercare la bellezza del Lago Braies; la trovo nel susseguirsi di scorci e nella varietà di microambienti presenti tutto attorno: una pineta, un minuscolo lido, un praticello, una spiaggetta di sassi, una paretina, una piccola morena, un accenno di palude nel punto di deflusso, i riflessi cangianti dell’acqua. Scenari naturali differenti, chiusi nell’abbraccio della Croda Rossa e delle propaggini del Parco naturale Fanes, ahimè non immuni da contaminazioni riconducibili ad una nota fiction televisiva.
E’ valsa dunque la pena venire fin qui per toccare con mano un fenomeno di costume e interrogarsi sulle ragioni di una così diffusa infatuazione per il Lago Braies.
Personalmente, resto fedele al mio modo di “andar per laghi”. Scruto le pieghe della montagna allo scopo di ipotizzarne l’ubicazione, mi avvicino seguendo il rassicurante occhieggiare dei segnavia, lo raggiungo dopo qualche ora di cammino, lo godo in solitudine e quiete.
In veste di turisti proseguiamo il resto del viaggio di ritorno lungo la Valle dell’Adige, tra le armoniose geometrie dei vigneti, la prospera fecondità dei meli, la possenza delle case padronali, l’epico cipiglio dei castelli arroccati sui rilievi.
Un capitolo a sé meriterebbero i campanili: a stele, a lapis, a bulbo. Nel Sud Titolo se ne vedono di ogni foggia: con copertura a piramide regolare o svasata o tronca, sormontati da una piccola torre campanaria o da un tempietto con bifore, contornati alla base da facciate triangolari o da festoni tondeggianti, recanti sulla sommità una piccola sfera o un puntale o una croce, decorati da maioliche colorate o da fregi dorati…
Al momento dei saluti bisogna esprimere un plauso al team piloti. A Massimo, di nome e di fatto, a Marta, super lady al volante, a Vincenzo, autista di consumato talento ma di conclamata inefficacia come postulante di miracoli nelle Alte sfere!
Maria B.