E’ la tradizionale escursione che percorre vecchie mulattiere, un tempo collegamento tra Verbania ed i paesi del suo entroterra. Oltre al piacere di andare in montagna, si riscoprono sentieri e luoghi del nostro passato, dove le genti vi transitavano a piedi. Un giro ad anello di 17,5 chilometri che si svolge tra i paesi di media montagna situati alle porte della Val Grande.
Il ritrovo alle 7,30 a Suna, i partecipanti in totale sono veramente tanti: 110. Provenienti dalle Sezione Est Monte Rosa, da Gallarate e dalla vicina Confederazione (“Amici della Montagna”) di Brissago; ci accompagnerà la guida storica Guido Canetta che per alcuni siti storici come “L’epigrafe funeraria di Bieno”, ”Gli scivoli della fertilità”, “L’è fo’ janèe, l’è dènt favrèe!”, “La Calcavègia”, “Pecore e lupi a Ungiasca – VB”, ci fornirà tante ed interessanti spiegazioni.
Si parte. La giornata è magnifica, promette più che bene. Dapprima il lungo lago di Suna, (1° campanile), con la spiegazione di Guido Canetta …. “Suna è il quartiere di Verbania che meglio conserva la struttura medioevale dell’abitato: case popolari addossate le une alle altre e raccolte intorno a cortili con funzione difensiva; portali a sesto acuto o con architravi monolitici”, la Chiesa di Santa Lucia, con le spoglie del Beato Contardo Ferrini. …. Guido, preparatissimo, ci racconta di “Pèver e Lùv a Ingiàsche” (“Pecore e lupi” a Ungiasca – VB). I lupi, “fiere” poi scomparse dai boschi del VCO (ma ritornate in tempi recenti), ci vivevano invece nei secoli scorsi e lasciarono le tracce della loro presenza, assai contrastata dall’uomo, non solo nei “bandi” con i quali venivano fissate le “taglie” per chi li avesse uccisi, ma anche in giochi popolari incisi nella pietra. Sempre la nostra guida racconta che nel 1988, Nino Chiovini decide di dedicare una breve monografia al villaggio natio di suo padre, a quel “log d’Ingiasche” tradotto poi in Ingiasca, Angiasca e finalmente Ungiasca. E scrive: “E’ noto che nei “luoghi d’incontro” di vari villaggi si conoscevano ancora le tracce di incisioni di figure che vanno sotto il nome di filetti o trie, su cui è possibile giocare a mulinello o tavola mulino”. Poi, sempre Guido, ci riferisce le regole del “gioco delle volpi e delle oche chiamato FOX” con tanto di tavola ricostruita da lui stesso.
Si prosegue in fila ordinata, lungo il sentiero nr. 1, in direzione Cavandone. Un’occhiata alla “Torraccia”, torre medioevale trasformata in abitazione, ma un tempo antica torre di segnalazione. Raggiungiamo in breve l’Oratorio del Buon Rimedio; breve sosta, qualche a scatto fotografico sul lago, in una veste tutta particolare a quest’ora del mattino, e si riparte per Cavandone. Ci fermiamo come previsto sul Sagrato della chiesa dedicata alla Natività di Maria di origine cinquecentesca, ampliata e trasformata nel 1700. Il Sig. Livio Marchionini, gentilmente ci apre la chiesa al fine di poterne ammirare anche l’interno, in silenzio. Al di fuori della chiesa ammiriamo anche il Tasso, splendido albero alto 15 metri con una circonferenza di 3,6 m, di ca. 400 anni. Ci rimettiamo in cammino, attraversiamo Cavandone (2° campanile) per scendere a Bieno (3° campanile), dove ci dirigiamo verso la chiesa parrocchiale del ‘700 dedicata alla Purificazione di Maria. Dalle indicazioni della nostra guida scopriamo “una epigrafe funeraria risalente al I sec. d.c. posta su un’altura a nord dell’abitato con la scritta: Ottavio, figlio di Gimone, fece da vivo per sé e per la moglie Sumeina, figlia di Senone, e per la figlia prima, moglie di Namuno figlio di Novellio.”
Dopo la cultura, una piacevole sosta al “Ranch” di Bottini Maurizio e di Giusi con un benvenuto a base di dolcetti, marmellate buonissime e non solo. Il posto è splendido, pieno di sole e ben curato.
Si prosegue. Il cammino è davvero piacevole e rilassante. Prossima tappa: Madonna del Patrocinio chiamata comunemente Madonna di Santino. “Anch’essa del 1700, fin dalla sua costruzione meta di processioni penitenziali e propiziatorie e di pellegrinaggi di molti fedeli”. Foto di gruppo, per non dimenticare. La nostra guida ci racconta degli scivoli della fertilità o le pietre della fertilità, uno proprio dietro la cappellina. Si riparte velocemente perché a Rovegro (4° campanile) ci aspettano Rachele Bottini e Dario Ellena del “Gruppo Escursionisti Val Grande”, che ci accolgono con grande gioia e con un ottimo rinfresco, consuetudine da ormai ben 18 anni. Il CAI Verbano per questa accoglienza sempre così generosa e sentita ringrazia e fa dono di un libro. Ci salutiamo con la promessa di rivederci il prossimo anno.
Si riprende in direzione “Ponte Romano”, costituito da un arco solo di pietra (in origine era di legno) costruito nel 1773 nella parte più stretto della valle che segna il confine tra Rovegro e Cossogno. Il nome “romano” lo si deve al fatto che qualche visitatore nell’800 ne rimase affascinato tanto da ritenerlo un’opera più antica. L’altezza del ponte è notevole e tutti ne rimangono impressionati.
Si riparte perché il pranzo è previsto alle ore 13,00 a Cossogno (5° campanile) presso il Circolo e non manca molto. Puntuali, prendiamo posto e ci dislochiamo sopra e sotto, qua e là. Pranzo ottimo, personale squisitamente accogliente, disponibile, quasi familiare. Doriano Camossi, sindaco di Cossogno, ci saluta e ci dà il benvenuto con la promessa che per il 2020 il “Ponte Romano” verrà risistemato e reso ancora più bello.
Dopo pranzo facciamo dono agli amici svizzeri del nostro gagliardetto, del libro “Cronache dei primi 25 anni, 1874 – 1899” del Club Alpino Italiano Sezione Verbano – Intra e con l’immancabile canto della Montanara e non solo, accompagnati dalla fisarmonica di Renato Berna e riprendiamo il cammino. Lo spettacolo che ci sta offrendo il creato, da quando siamo partiti, rende tutti noi euforici e spensierati. Doni questi che la montagna sa dare a larghe mani.
Attraversiamo il paese di Cossogno per dirigerci al Motto di Unchio. “Santuario costruito intorno al 1835 nelle vicinanze della preesistente cappelletta del 1640 da cui fu tolto l’affresco della Madonna con il bambino oggi posto sopra l’altare all’interno del Santuario”.
“Era chiamata Madonna del Motto perché la località dove è situata veniva denominata del Mottone. Fu scelto quel luogo periferico rispetto al paese perché la via Crucis sembrava abbracciare il nucleo abitativo”. Arriviamo al paese di Unchio (6° campanile) lungo la ripida via Crucis; nelle vicinanze della pozza di Santino prendiamo il sentiero che costeggia il fiume San Bernardino sino ad arrivare a Renco (7° campanile). Mancano ancora venti minuti per arrivare alle macchine, dove termina la nostra escursione.
Arrivederci a tutti e un invito a chi non ha partecipato a questa “18^ edizione” ad aderire ai “7 campanili “ del prossimo anno: non rimarrà deluso!!