La scelta di partecipare all’escursione del 16 luglio in Valtournanche era nata alcuni mesi fa.
Urgeva in me il bisogno di esplorare montagne diverse da quelle arcinote di casa nostra, avevo nostalgia di quegli scenari sconfinati, dove i Quattromila si ergono fino a forare il cielo e dove l’estensione delle vallate sollecita gli occhi a correre, in una ricerca spasmodica di scorci alpini ammaliatori. Mi pareva interessante inoltre il carattere inclusivo della gita, che, con la diversificazione degli itinerari, intendeva soddisfare le esigenze e le aspettative di tutti.
Sul pullman, pur nella atmosfera sonnacchiosa che connota le partenze antelucane, la vista di tanti volti noti, ognuno legato a un particolare luogo, momento, episodio vissuto col CAI Verbano nel corso degli anni, ha dissipato residue incertezze riguardo alla scelta della meta e, con un vigore quasi giovanile, mi sono buttata sulla impegnativa salita alla cima.
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Ambedue le escursioni hanno avuto inizio da Cheneil, villaggio gentile, con le casette di legno, le trine alle finestre, i gerani cascanti dai muriccioli, la fontanella chioccolante, il buon odore di focaccina dolce e caffè. Poco più avanti, come da programma, la comitiva si è scissa in due gruppi: l’uno diretto alla Punta Sud del monte Roisetta, l’altro indirizzato verso il Santuario Clavalitè, per transitare, con un giro ad anello, sotto Punta Falinère e le pendici del Gran Tournalin.
Dopo gli ultimi radi larici, chi come me aveva optato per il primo percorso, si è trovato in ambiente aperto, ha camminato su un comodo sentiero in lieve ma costante salita, ha rimontato alcune balze erbose fino a raggiungere e ad attraversare quello stesso torrente, che giù nel fondovalle diventava un nastro d’argento srotolato nel verde.
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Avanzando verso le montagne, era naturale chiedersi quale di esse fosse la famosa Roisetta, o almeno in quale settore cercarne la collocazione. Ma, ad ogni domanda o ipotesi al riguardo, Franco, capo gita insieme a Marco, rispondeva in modo sibillino:
“ancora dietro”.
La fascia sovrastante dava la possibilità di salire anche alla Becca d’Aran ed aveva le caratteristiche della zona di pascolo. Sotto un costolone roccioso, sentinella nella solitudine, un alpeggio, un tempo cuore propulsore della vita in montagna, ora in totale abbandono; non più vociare di mandriani, muggiti e campanacci di bovini ma silenzio. Uno stambecco, sdraiato nell’erba e probabilmente impegnato nel laborioso processo digestivo degli animali ruminanti, incurante del nostro passaggio è restato immobile al suo posto.
La progressione verso la meta era nel complesso varia e gradevole, anche grazie alla frescura dell’aria e alla ritrosia del sole a mostrarsi in pieno splendore.
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A circa 3000 metri di quota l’ambiente è di nuovo cambiato in modo radicale. L’assenza di vegetazione gli ha dato un carattere imponente, austero e quasi lunare; al posto dell’erba fini sfasciumi; a contornare il pianoro, da un lato mole poderosa del Gran Tournalin, al centro una bastionata grigia e terrosa, dall’altro una crestina irta di dentelli, pinnacoli, uncini rocciosi. Da questa conca glaciale finalmente è stato possibile vedere la vetta, lambita da una residua cornice di neve, con la sagoma di una modesta, esile croce.
Per progredire lungo gli ultimi tornantini pietrosi si è dovuto cambiare il ritmo dell’andatura, che si è fatta più lenta, personalizzata, intervallata da momenti di pausa. Tuttavia, con perfetto tempismo, all’ora di pranzo tutto il gruppo era in vetta. Di monte Rosa, Castore, Polluce, Lyskamm neppure l’ombra. La piramide del Cervino ha fatto una fugace comparsa tra i vapori di una nuvolaglia, ostinatamente resistente all’avanzare del bel tempo, che si preannunciava con squarci di azzurro sempre più vasti e sprazzi di sole sempre più vigorosi.
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La sosta, oltre che rilassante e rigenerante, è stata un momento di gioia davvero corale, infatti, a dispetto della scarsa visibilità, dal nostro osservatorio privilegiato, si è chiaramente individuato il Santuario Clavalité, meta dei nostri compagni di viaggio, lontani nello spazio ma idealmente e affettivamente vicini. Questa coincidenza ha evidenziato il bello dell’andare insieme in montagna, dove, purtroppo e sempre più spesso, accade di imbattersi in automi che ti sfrecciano accanto senza vederti, mentalmente assorti nel calcolo di chilometri, dislivelli, minuti, avvezzi a relazionarsi con il prossimo solo sui social.
Con una punta di dispiacere ci siamo preparati a scendere. Ridipinti dal sereno, i luoghi dove eravamo passati poco prima sembravano altri. I prati erano un trionfo di fiori, a chiazze, cuscini, manciate, grappoli … odorosi, coloratissimi e regali, come la solitaria stella alpina che ci ha fatto dono della sua comparsa proprio sul ciglio del sentiero.
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L’escursione stava volgendo al termine, quando, da una rapida consultazione tra i capi, è scaturita una sorpresa. Ci è stata data la possibilità di coprire l’ultimo tratto del tragitto per via diversa rispetto all’andata, percorrendo quello che un tempo era utilizzato come sentiero di servizio, sfruttabile per arrivare in fretta e più direttamente agli alpeggi. Il tracciato, stretto e a tratti tortuoso, era attiguo al torrente e ne seguiva il corso, adeguandosi alla corsa capricciosa delle acque con passaggi tra intagli, su roccette, gradini e gradoni, in un ambiente assolutamente naturale e altamente suggestivo.
Il ricongiungimento dei due gruppi a Cheneil ha ufficialmente chiuso la giornata in montagna. Era palpabile l’aria dei momenti di festa; la generale soddisfazione si poteva cogliere nelle parole, nei sorrisi, nei volti raggianti e, forse solo per la scrivente, in quella sottile nostalgia che assale al momento del distacco da qualcosa che si ama.
Grazie a Franco, a Marcello, a Marco e … a tutti!
Maria B.
Le foto dell'escursione al Monte Roisetta Punta Sud
Le foto dell'escursione al Santuario Clavalitè e Col des Fontaines